Ai Weiwei e gli atri

Il giornale spagnolo El Mundo ricordava qualche giorno fa che sono trascorse ormai tre settimane dall’arresto dell’artista cinese Ai Weiwei per reati finanziari, bigamie e detenzione di materiale pornografico. In concomitanza è arrivata la notizia dell’arresto di Zuoxiao Zuzhou e sua moglie Xiao Li, fermati all’aeroporto di Shangai e scomparsi nel nulla nel giro di pochi minuti.

Zuzhou, amico musicista di Weiwei, il giorno prima aveva scritto sul giornale Migpao di Hong Kong un articolo per la liberazione di Ai dal titolo «Chi non ama Ai Weiwei?». Il pezzo ripercorre la lunga amicizia tra i due e descrive gli ultimi giorni prima dell’arresto, quando Ai – che aveva ricevuto parecchie visite da parte della polizia quella settimana – gli disse: «In prigione, non vorrei suicidarmi».

Il 53enne designer ideatore dello Stadio Nazionale di Pechino il 3 aprile si stava imbarcando per Hong Kong, quando venne prelevato dalla polizia. Da allora, nessuna notizia ufficiale da parte delle autorità. Di fronte alle immagini delle numerose proteste e sit-in organizzati davanti alle ambasciate cinesi di tutto il mondo per la liberazione di Ai, il governo di Pechino  si è limitato a dire di non temere il rischio che si crei una cattiva immagine del Paese. «Non abbiamo paura di quello che viene scritto o detto», ha dichiarato il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Hong Lei. «Non permetteremo che nessun Paese interferisca negli affari interni cinesi con il pretesto della difesa dei diritti umani».

Ai Weiwei è solo il più famoso dei dissidenti arrestati in Cina dopo l’esplosione delle sollevazioni in Tunisia ed Egitto. Decine di attivisti per i diritti umani, artisti e intellettuali sono stati sospettati di voler diffondere la rivolta dei gelsomini anche nella Repubblica popolare. E per loro sono scattate le manette. Quarantuno gli arresti negli ultimi mesi, secondo El Mundo. Duecento, invece,  coloro che hanno subito interrogatori, perquisizioni e «arresti blandi». Alcuni di loro, come l’avvocato Teng Biao e l’attivista Liu Djun, scomparsi nel nulla. Stesso destino per Wen Tao, Zhang Jinsong, Hu Mingfen e Liu Zhenggang, tutti parenti o amici di Ai Weiwei.

Resta in carcere anche Liu Xiaobo. Dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace e la famosa sedia vuota di Oslo, la repressione si è inasprita. E alla moglie di Xiaobo, Liu Xia, è ancora vietato di lasciare la sua casa di Pechino.

I familiari di Ai Weiwei sono convinti che i motivi della detenzione siano solo politici e non certo dovuti ai presunti reati di natura economica che gli sono stati imputati. Da tempo Weiwei rappresentava una voce critica contro il governo. Dopo gli studi negli Stati Uniti, era tornato in Cina nel 1993. Diventando subito famoso grazie alle sue mostre dissacranti, come la prima fatta in Cina intitolata Fuck off. Accanto all’arte, aveva poi scoperto la passione per il Web. Soprattutto attraverso il suo blog, poi chiuso dalle autorità. Per due volte era stato picchiato dalla polizia. E due volte gli erano già stati inflitti gli arresti domiciliari. Fino alla scomparsa del 3 aprile.

Le associazioni per i diritti umani temono che Weiwei possa essere torturato e costretto a confessare reati non commessi, come è accaduto con l’ecologista Wu Lihong, l’avvocato Xu Zhiyong e il giornalista Zhao Yan, anche loro accusati di presunti delitti di natura economica.

Speriamo che non accada, nonostante anche il vecchio attivista Bob Dylan, in concerto a Pechino, abbia rinunciato a parlare pubblicamente della violazione dei diritti umani nel Paese del dragone. «How many roads must a man walk down before you can call him a man?…»

One Response to Ai Weiwei e gli atri

  1. dicksick says:

    Anche Bob invecchia

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